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i
film
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Titolo del film:
VALZER CON BASCHIR (Waltz with Bashir)
Regia, Soggetto e Sceneggiatura:
Ari Folman
Fotografia:
Jean-Paul De Zaeytijd
Musica:
Max Richter (II)
Interpreti:
(voci) Ron Ben-Yishai, Ronny Dayag,
Ari Folman, Dror Harazi, Yehezkel Lazarov, Mickey Leon, Ori Sivan
Genere, durata e
nazionalità: Animazione/Drammatico-Storico,
87',
Francia/Germania/Israele |
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Trama
Una sera, in un bar, un vecchio amico
racconta al regista Ari Folman un incubo ricorrente nel quale 26 cani
feroci lo inseguono. Lo stesso numero di animali, ogni notte. I due
giungono alla conclusione che c’è un legame tra l’incubo e la loro
missione nelle file dell’esercito israeliano durante la prima guerra del
Libano, all’inizio degli anni ‘80. Ari si sorprende a scoprire di non
ricordare niente di quel periodo della sua vita. Incuriosito da questo
fatto inspiegabile, decide di incontrare e intervistare vecchi amici e
compagni d’armi in giro per il mondo. Ha bisogno di scoprire la verità
su quel periodo e su se stesso. Mano a mano che Ari va avanti con le
ricerche, nella sua memoria cominciano ad emergere immagini surreali … |
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Rassegna Stampa |
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Giulia Baldacci-
www.filmup.com
Il regista israeliano Ari Folman incontra in un bar un amico di vecchia
data, che gli racconta un incubo ricorrente, in cui è inseguito, nella
notte, da un branco di ventisei cani inferociti.
L’uomo si sveglia proprio quando i cani stanno per attaccarlo.
L’incubo si ricollega al tragico periodo vissuto dai due amici agli
inizi degli anni Ottanta quando, molto giovani, furono arruolati
nell’esercito israeliano in missione in Libano e assistettero al
massacro di Sabra e Shatila, da parte di falangisti cristiani.
Ari non ricorda nulla di quel periodo, quasi ci fosse un’assenza
temporale, un buco nero. Chiedendo aiuto ad uno psicologo, che gli
spiega i meccanismi misteriosi della memoria, Ari decide di
dissotterrare quelle memorie e parte alla ricerca dei suoi commilitoni.
Dai ricordi frammentari e dalle immagini evocate dagli amici, anche Ari
inizierà a recuperare stratificazioni di memorie, sogni surreali, fino
al ricordo completo.
Ari Folman ci racconta il suo viaggio nella memoria, in una sorta di
documentario di animazione, con svolte e parentesi surreali. Waltz with
Bashir è infatti un film di animazione, genere già sperimentato dal
regista, che vanta ben 2300 tavole disegnate e poi animate, con uno
script originale di 90 pagine. Un "format" di animazione creato dallo
studio dello stesso Folman, il Bridgit Folman Film Gang, che presenta
esiti altalenanti, dalle immagini molto vivide, quasi rappresentazioni
di pop art, soprattutto nei racconti dei sogni e delle visioni, alla
fissità e rigidità di certe scene di gruppo e di battaglia.
Folman ha il merito di far ricordare un evento indicibile, un massacro
cui l’esercito israeliano non partecipò ma a cui assistette, e lo fa con
l’animazione, quasi a dirci che la guerra e l’orrore sono
irrappresentabili. Possono forse "passare" solo attraverso il filtro di
disegni animati.
Tutte le testimonianze riportate sono reali, sono i ricordi raccolti da
Folman. Ciò che colpisce è il ricorrente "trucco" mentale di attaccarsi
ad immagini simboliche, come l’acqua del mare e la sensazione, da parte
di tutti i testimoni, che si stesse vivendo in una dimensione parallela,
da viaggio lisergico, come racconta uno degli amici del regista, con
momenti paragonabili a gite di gruppo, con canti e musiche, cui segue lo
strazio delle uccisioni.
Folman indugia forse troppo nelle spiegazioni psicologiche, che
rallentano la tensione, risultando a tratti fastidiosamente pedagogiche.
Il titolo del film si riferisce alla folle danza, con mitra, di un
soldato, che spara all’impazzata, sotto il ritratto gigante di Bashir
Gemayel, il politico libanese ucciso in un attentato prima
dell’investitura a Presidente della Repubblica.
La frase: "La memoria è dinamica, è viva. Riempie tutti i buchi
del passato, anche con ricordi irreali".
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Irene Bignardi - Da
Il Venerdì di Repubblica, 9 gennaio
2009 Esce Valzer con
Bashir, il cartoon che ricostruisce, come un documentario, il
massacro dei palestinesi avvenuto in Libano nel 1982. Accompagnato dalle
polemiche suscitate dalla sua uscita in Israele e in Usa.
Un viaggio nella memoria alla ricerca di una realtà tragica. Un
documento paradossale, perché la ricostruzione è affidata ai ricordi
personali e al disegno. Una specie di percorso psicoanalitico, alla
ricerca della verità su se stessi e sulla storia - che è la storia di
quei terribili giorni del 1982, quando, dalle sei del pomeriggio del 16
settembre, per settantadue ore, le forze libanesi, per vendicare
l'uccisione del loro presidente Bashir Gemayel, entrarono nei campi dei
profughi palestinesi di Sabra e Shatila e si diedero a un metodico
massacro di uomini, donne e bambini, mentre le truppe israeliane,
incaricate della sorveglianza del campo, non intervenivano.
E Valzer con Bashir, il bellissimo film israeliano
d'animazione che, caso quasi unico (il precedente è Persepolis
di Marjane Satrapi), ha avuto l'onore di partecipare a un grande
festival come Cannes, che è il candidato di Israele per la cinquina
degli Oscar come miglior film straniero, e che sta riscuotendo un grande
successo e suscitando reazioni appassionate e contrastanti in giro per
il mondo.
Un film che mescola abilmente, ma anche con sconvolgente sincerità
e trasparente dolore, il documentario politico e l'autobiografia, la
storia e la memoria personale, la visualizzazione grafica e la poesia.
L'autore, che è regista di cinema e televisione e scrittore (e figlio di
due sopravvissuti all'Olocausto), si chiama Ari Folman, e dichiara che
quella di Valzer con Bashir è una storia assolutamente
personale: la sua, all'epoca soldato diciannovenne delle truppe
israeliane a Beirut nella prima guerra del Libano, e da allora
tormentato dai ricordi. E, cosa ancora più inquietante, spiega che il
film è il racconto di ciò che lui, Ari Folman, a lungo non èriuscito a
ricordare, e che è andato ricostruendo - con pazienza ed angoscia, con
stupore e con orrore per averlo potuto rimuovere - attraverso una serie
di interviste ai testimoni di quel momento, con i quali ha ricomposto il
quadro della sua memoria perduta. La memoria che riversa sullo schermo
con travolgente impatto emotivo e grande forza visiva fin dalla prima
sequenza: quella di un incubo, non suo, ma che fa suo, popolato da una
muta di cani rabbiosi che invade ululando e abbaiando un villaggio.
Quella del sogno che lo vede, nudo, assieme ad altri due compagni,
emergere dal mare davanti a una spiaggia di una Beirut in guerra, piena
di cadaveri. Quella che racconta nell'impressionante sequenza del
massacro (di centinaia, o di migliaia, di palestinesi e libanesi inermi?
Le cifre non concordano, ma l'orrore resta enorme), unica ricostruzione
di questo terribile episodio, che solo l'indeterminatezza e al tempo
stesso la precisione del disegno animato potevano ricostruire con tanta
sconvolgente vivezza.
«L'animazione opera al confine tra la realtà e il subconscio» ha
detto Folman in un'intervista al New York Times. Ed è questa
l'atmosfera di questo film unico e tragicamente originale - metà fatto
di animazione e metà di computer graphic, illuminato da una gamma di
colori cupi e dal segno duro e forte del principale illustratore, David
Polonsky - solo per pochi minuti sconvolta dalle vere immagini del dopo
massacro. Folman ripercorre il suo cammino, dalla rimozione della
terribile esperienza di testimone di un massacro, che non vuole
ricordare di aver visto, alla necessaria accettazione della memoria,
dopo che, volto dopo volto, persona dopo persona, compagno dopo
compagno, il quadro si è ricomposto, in parte attraverso la realtà
oggettiva, in parte attraverso gli incubi soggettivi.
In Israele, dove il film è già uscito (in America è stato un paradossale
film di Natale, visto che è arrivato nelle sale proprio il 26 dicembre,
da noi invece esce oggi, distribuito da Lucky Red), Valzer con
Bashir ha suscitato reazioni molto vivaci, ma tutti hanno
riconosciuto che ritrae in maniera estremamente convincente la
condizione dei soldati israeliani in guerra. E, interpellato dal New
York Times, uno dei più rispettati corrispondenti di guerra
israeliani, Ron Ben Yishaï, che si vede (disegnato) anche nel film, ha
dichiarato che il film «documenta» (e la parola suona strana, se si
pensa che siamo di fronte a un film d'animazione) i pensieri e le
sensazioni e le esperienze emotive di un soldato in una guerra molto
simile a quella che si sta combattendo ora a Gaza e sulla West Bank».
Ma, appunto, ci sono anche le polemiche. II film, é vero, fa chiarezza
sul fatto che la-strage, cui si fa riferimento spesso come se fosse
stata opera degli israeliani, in realtà risulta essere stata opera delle
milizie libanesi cristiano-maronite. Ma la riflessione che propone
Folman - eravamo a due passi da lì, abbiamo permesso alle Falangi
libanesi di entrare nel campo, non abbiamo voluto vedere - rimanda alla
«distrazione» di tanti europei ai tempi dell'Olocausto: È l'orrore che
vediamo sulla schermo, in questa testimonianza reale e virtuale di una
delle pagine più terribili della storia recente, punta i riflettori non
solo sui morti, ma su quelle vittime della guerra che sono i soldati,
costretti a indossare la divisa e a comportarsi di conseguenza, sul
senso di colpa dei sopravvissuti, sull'impotenza di fronte alla logica
della guerra. |
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Xan Brooks - Da
Internazionale, 23 maggio 2008
Il film è l'ingegnoso tentativo
del regista d'animazione Ari Folman di rendere conto delle atrocità a
cui ha assistito durante il suo servizio di leva nell'esercito
israeliano, in particolare il massacro di Sabra e Chatila. Tormentato da
falsi ricordi e blocchi mentali, Folman ha scelto di intervistare tutti
i testimoni che è riuscito a raggiungere e convertire le loro
testimonianze in disegni animati, completati con scene dei suoi peggiori
incubi e drammatiche ricostruzioni. Un film straordinario, straziante,
provocatorio, che fa uscire barcollanti dalla sala. |
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Emanuela Mantini - Da Il Sole 24 Ore, 18 maggio
2008 Il mondo
finisce male, in metropoli livide e ingrigite dalla polluzione, sulle
spiagge libanesi rosse di fuoco e di sangue, nelle celle squallide e a
volte luride di carceri troppo affollate. È un mondo pieno di incubi, a
un passo dall'apocalisse, quello raccontato nelle prime giornate del
Festival di Cannes. Un mondo che muore immerso nel bagliore bianco
dell'umanità che sta perdendo progressivamente la vista, nella
megalopoli senza nome (un miscuglio di San Paolo e Montevideo) ricreata
con destrezza fin troppo estetizzante da Fernando Meirelles in
Blindness (da Cecità di José Saramago), che ha aperto il festival; o
che si autodistrugge meno metaforicamente nelle felpate immagini animate
di Waltz with Bashir, il documentario dell'israeliano Ari Folman
che ricostruisce il massacro del 1982 dei profughi palestinesi dei campi
di Sabra e Chatila, nella parte occidentale di Beirut, da parte dei
falangisti cristiani. Morirono circa 3 mila la persone, soprattutto
donne, vecchi e bambini (i combattenti palestinesi erano stati evacuati
in Tunisia) e Folman ha ripercorso i giorni che culminarono nella strage
attraverso i sensi di colpa e le rimozioni sue e degli altri giovani che
parteciparono all'invasione di Beirut.
Attraverso interviste, dialoghi, sogni e incubi, a poco a poco la
memoria rimette in ordine la storia, il cui orrore culmina negli ultimi
minuti, quando al disegno si sostituiscono i volti e le grida delle
immagini "vere" d'epoca. L'impatto è ruvido ma salutare, nel suo
contrasto con il virtuosismo del film, che mescola suggestioni grafiche
e cinematografiche (su tutte, Apocalypse Now di Coppola) un po'
troppo esibite. L'eleganza del disastro e la ricerca stilistica
autocompiaciuta sono un peccato cinematografico non lieve, lo stesso nel
quale cade il turco Nuri Bilge Ceylan, raccontando in Le tre scimmie
un terribile circolo vizioso di vigliaccheria, sopraffazione e avidità,
ma con uno stile laccato e una fotografia finto-povera che annullano la
forza della sua storia. |
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Fabio Ferzetti - Da Il Messaggero, 16 maggio 2008
Una muta di cani feroci corre
attraverso una città per fermarsi sotto le finestre di un uomo. Sono 26,
dice l'uomo. Sono i 26 cani che ho ucciso in guerra, quando
perlustravamo la Palestina villaggio per villaggio e i primi a morire
erano i cani perché non dessero l'allarme. Li ricordo tutti, uno a uno.
Ora li sogno ogni notte.
Il ricordo è autentico. La scena ovviamente no. Ma è ripresa con
una tecnica perlomeno inusuale per un documentario, e molto potente: in
disegni animati. Forse perché certi ricordi certe realtà non si possono
mostrare tali e quali. Non solo per ragioni tecniche, ma perché ci sono
immagini che una società non vuole vedere. Così quando Ari Folman,
documentarista israeliano, decide di fare i conti con i suoi ricordi di
militare in Libano nel 1982, l'anno della strage di Sabra e Chatila,
prima gira in video un'inchiesta, intervistando gli amici invecchiati e
psicologi, reporter, ufficiali, ricostruendo invece le scene al fronte.
Poi fa ridisegnare tutto con tratto denso ed emozionante. Risultato: un
film che cambia tutto. Il modo di fare documentario. Il rapporto del
regista con il suo passato. E quello di Israele con la propria memoria.
Immaginate che Coppola abbia combattuto in Vietnam e Apocalypse Now
sia la sua storia personale, strappata alle segrete della memoria e
ridisegnata con stile non lontano da Frank Miller. Ora avete una pallida
idea della forza di Waltz With Bashir. Che di ricordo in ricordo, di
testimonianza in testimonianza, dà un'immagine sconvolgente non solo
della strage di inermi profughi palestinesi con cui i falangisti
libanesi vendicarono barbaramente la morte del presidente cristiano
Bashir Gemayel, ma della vita quotidiana sotto le armi. E lo fa
mostrando con i colori e la finta leggerezza dei cartoons il vuoto, la
noia, l'inconsapevole arroganza di quei ragazzi spediti a fare una
guerra che non capivano, e poi i sogni, gli incubi, i desideri (c'è
anche una gigantessa felliniana che sorge nuda dal mare per salvare un
militare terrorizzato).
Così al percorso documentario si affianca un itinerario
(auto)analitico che dà al "trip", in tutti i sensi, dell'ex- soldato
Folman una risonanza cupa e inquietante. È come se i disegni
diventassero più veri del vero e solo in quella forma capissimo
veramente cosa significa guidare un blindato che travolge auto e
palazzi, passare in un attimo dall'incanto di una giornata estiva in uno
dei più bei paesi del mondo all'orrore di un attacco improvviso. O
all'assurdo di un compagno che sfida la morte danzando fra le pallottole
dei cecchini. Per poi fare i conti a vita con quei ricordi che la
memoria dei singoli cancella, lasciando finire alla società il lavoro di
rimozione. Con una scena rimossa inizia anche il notevole Leonera
dell'argentino Pablo Trapero. Chi ha ucciso il compagno di Julia, 26
anni, incinta, che in apertura si sveglia insanguinata e immemore? Lei o
Ramiro, l'amante (di lui, non di lei), che ora le addossa tutte le
colpe? Mistero. A Trapero non interessa il "giallo", ma la lenta e
dolorosa rinascita di Julia, il carcere, i rapporti bestiali ma anche
amorosi con le detenute, la nascita del bambino, che dopo 3 anni in
prigione con lei viene affidato alla nonna, quindi la rivolta e la fuga
finale. Un grumo di dolore e solitudine difficile da amare fino in
fondo, ma anche da dimenticare. |
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Giancarlo Zappoli - da
www.mymovies.com
Una notte, in un bar, un amico
confessa al regista israeliano Ari Folman un suo incubo ricorrente:
sogna di essere inseguito da 26 cani inferociti. Ha la certezza del
numero perchè, quando l'esercito israeliano occupava una parte del
Libano, a lui, evidentemente ritroso nell'uccidere gli esseri umani, era
stato assegnato il compito di uccidere i cani che di notte segnalavano
abbaiando l'arrivo dei soldati. I cani eliminati erano giustappunto 26.
In quel momento Folman si accorge di avere rimosso praticamente tutto
quanto accaduto durante quei mesi che condussero al massacro portato a
termine dalle Falangi cristiano-maronite nei campi di Sabra e Chatila.
Decide allora di intervistare dei compagni d'armi dell'epoca per cercare
di ricostruire una memoria che ognuno di essi conserva solo in parte
cercando di farla divenire patrimonio condiviso.
Folman, regista e sceneggiatore di qualità (è, tra l'altro, uno degli
sceneggiatori di In Treatment, serie televisiva di grande successo in
Israele adattata da Rodrigo Garcia per il canale dell'HBO) affronta con
coraggio uno dei nervi scoperti della storia recente della democrazia
israeliana. Non è però interessato a distribuire patenti di colpevolezza
senza prove (sono note le accuse all'allora Ministro della Difesa Ariel
Sharon considerato responsabile del fatto di aver saputo e taciuto, se
non addirittura favorito).
Folman scava più a fondo utilizzando un metodo che sta progressivamente
trovando una sua consistenza nel mondo della comunicazione. Decide cioè
che inanellare le interviste porterebbe a realizzare un documentario
rivolto a un pubblico di nicchia. Racconta allora utilizzando
un'animazione scarna ma efficace che riesce a restituire il work in
progress di un rimosso che da forme fantastiche o mitiche (esplicita la
citazione di Apocalypse Now) passa a focalizzare una realtà orrenda che,
proprio perchè tale, era stata espunta dal ricordo del singolo e della
collettività. Non è un caso che il primo amico a cui Folman si rivolge
dopo aver avuto l'idea sia un analista. La scelta di questo tipo di
terapeuta rivela una particolare attenzione dell'autore alla materia ma
anche quella che egli sente come una necessità per tutto il suo popolo:
una sorta di seduta collettiva che aiuti a fare chiarezza innanzitutto
in se stessi.
Questo film costituisce una riprova (semmai ce ne fosse ancora
bisogno) che la demonizzazione tout court di Israele è del tutto miope.
Se davvero si vuole dare un contributo internazionale alla soluzione del
conflitto israelo-palestinese è proprio sostenendo chi, come
l'israeliano Folman, incentiva il recupero di una memoria scomoda che si
potranno ottenere piccoli ma significativi risultati. |
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