i film
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Titolo del film:
THE HURT LOCKER (The Hurt Locker) Regia: Kathryn Bigelow Soggetto e Sceneggiatura: Mark Boal Fotografia: Barry Ackroyd Musica: Marco Beltrami, Buck Sanders Interpreti: Jeremy Renner (Sergente William James), Anthony Mackie (Sergente JT Sanborn), Brian Geraghty (Owen Eldridge), Guy Pearce (Sergente Matt Thompson), Ralph Fiennes (Caposquadra mercenari), David Morse (Colonnello Reed), Evangeline Lilly (Connie James), Christian Camargo (Colonnello John Cambridge), Suhail Al-Dabbach (Black Suit Man), Christopher Sayegh (Beckham), Nabil Koni (Professor Nabil), Sam Spruell (Charlie), Sam Redford (Jimmy), Feisal Sadoun (Feisal), Barrie Rice (Chris), Justin Campbell (Sergente Carter), Malcolm Barrett (Sergente Foster) Genere, durata e nazionalità: Azione/Thriller, 127', Usa |
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La paura si è fatta una cattiva fama ma io non credo che sia meritata. La paura è chiarificatrice. Ti obbliga a mettere davanti le cose importanti e tralasciare quelle insignificanti. Quando Mark Boal è tornato da una missione come reporter in Iraq, mi ha raccontato dei soldati che disarmano le bombe in piena guerra, ovviamente un lavoro da unità speciale con elevatissimo tasso di mortalità. Quando mi ha detto che erano persone estremamente vulnerabili e che per disarmare una bomba che uccide con un raggio fino a 300 metri utilizzano solo un paio di pinze, sono rimasta scioccata. Quando poi ho appreso che sono volontari e che spesso questo lavoro li prende talmente tanto da non potersi immaginare a fare qualcosa di diverso, ho scoperto che quello era il mio nuovo film. (Kathryn Bigelow) (nella foto Kathryn Bigelow e Matk Boal) |
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Trama Se la guerra è l’inferno, perché sono in tanti a scegliere di combattere? In un’epoca in cui gli eserciti nonsono formati da militari di leva ma da volontari, e gli uomini si lanciano di buon grado nell’azione militare, a volte la guerra corteggia in maniera potente e seducente fin quasi a diventare dipendenza. THE HURT LOCKER è
il ritratto intenso di un’unità speciale di soldati con il compito più
pericoloso del mondo: disarmare bombe nel mezzo dell’azione. Quando il
nuovo sergente, James (Jeremy Renner), assume il comando dell’unità
speciale esperta in disarmo delle bombe nel bel mezzo di un violento
conflitto, sorprende i due sottoposti, Sanborn ed Eldridge (Anthony
Mackie e Brian Geraghty), lanciandosi inesorabilmente in un gioco
mortale di guerriglia urbana. James sembra essere indifferente alla
morte. Con la visionaria regia di Kathryn Bigelow, THE HURT LOCKER è il frutto dell’osservazione diretta del reporter e sceneggiatore Mark Boal. Con Jeremy Renner (Dahmer, il Cannibale di Milwaukee, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford), Anthony Mackie (Half Nelson, We Are Marshall) e Brian Geraghty (We Are Marshall, Jarhead), il film associa l’avvincente azione realistica al dramma umano più intimo per mostrare la psicologia di un soldato durante azioni ad altissimo rischio, fra uomini che scelgono di affrontare mortali avversità. |
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Rassegna Stampa | |||||
Roberta Ronconi - Da
Liberazione, 10 ottobre 2008 Com'è bella la guerra anche se fa male Raffinata, sensuale, tesa,
potente. Kathryn Bigelow sa come affascinare lo sguardo senza condurlo
troppo lontano. Con The Hurt Locker - storia di un commando di
disinnescatori di bombe - riporta Hollywood sul luogo del delitto,
ovvero la guerra in Iraq. Una ricognizione formale, più che sostanziale,
la regista di Strange Days torna dove già erano stati, tra gli ultimi,
De Palma e Haggis, per andare a recuperare qualcosa che, a suo avviso,
era stato dimenticato: il senso della guerra come droga dell'anima, le
mani nude a contatto con la morte, senza guanti tra i fili delle bombe,
il rosso o il blu, forse salto in aria forse vivo fino a domani. Il
risultato è maschio, virile, cameratesco. Come ai bei tempi dei western
di John Ford, pieni di fondine e di polvere nelle unghie. Sorprende
quindi che, al Festival di Venezia, Bigelow si sia sperticata per Obama
e per un diverso futuro per l'America. Sarà anche una democratica nelle
parole, ma nelle immagini è più reazionaria di molti suoi colleghi.
Nelle sue mani, la guerra in Iraq fa un balzo indietro, torna ad essere
canto del milite ignoto, colui che tra il sangue e il fragore perde il
senso della realtà per ritrovarla, poi, solo tra le braccia di un
bambino. Non è solo una questione ideologica, è proprio nella forma del
cinema di Bigelow che si respira l'epica reazionaria più saldamente
americana, quell'attaccamento ai valori primari del maschile che fanno
del suo film un'ode al coraggio piuttosto che una condanna alla follia.
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Fabio Ferzetti - Da
Il Messaggero, 10 ottobre 2008 L'uomo che sussurrava alle bombe Quando la bomba comincia a
emergere dal terriccio il sergente maggiore James emette una specie di
mugolio di piacere. Le dita scavano esperte e quasi avide, scostano il
pietrisco, accarezzano il metallo, dipanano i cavi fino a snidare il
detonatore, che in pochi secondi finisce a terra. Missione impossibile.
Missione compiuta. |
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Valerio Caprara - Da
Il Mattino, 11 ottobre 2008 Con Bigelow in Iraq tra i soldati Usa drogati dalla guerra Non è banale o retorico «The Hurt Locker», che rilancia alla grande Kathryn Bigelow. E c'è persino qualcuno che l'accusa di tendenze guerrafondaie per come affronta i crudi risvolti della tragedia irachena. Mentre proprio nel mantenersi incollato ai suoi personaggi (soldati di prima linea nell'inferno di Baghdad), la regista ribadisce rigore e carisma. Lo spunto deriva da un reportage sulle compagnie dell'esercito Usa adibite al disinnesco delle bombe: mentre i terroristi perfezionano ogni giorno in maniera più subdola le loro trappole, a fronteggiarli sono chiamati questi specialisti ad altissimo rischio, magari armati di semplici pinze. Il racconto è centrato sulla figura del sergente James, che sembra agire nella guerriglia con trasporto sadomasochistico: tra l'orgasmo di una sparatoria, la tensione insostenibile al cospetto del viluppo di fili e detonatori che emergono dalle auto, dai sacchetti di spazzatura o dai corpi dei kamikaze, l'uomo indurito e disadattato sopravvive in una trance permanente. Un signor film, che si fa apprezzare per come coglie il dramma individuale in una cornice corale ed evita gli slogan dozzinali in favore di un approccio destabilizzante perché obiettivo. La Bigelow riesce a esplicitare un concetto che non piacerà alle anime belle, ma assomiglia a quello paradossale di «Trainspotting», dove la seduzione della droga risultava micidiale perché voluttuosa, «piacevole»: l'abitudine a giocarsi in pochi secondi la pelle fa sì che molti soldati si trasformino in ossessi del rischio, in drogati dell'adrenalina. |
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Roberto Silvestri -
Da Il Manifesto, 10 ottobre 2008 Dalla parte dei marines contro la guerra Si può fare un film contro
l'aggressione in Iraq stando dalla parte dei soldati Usa? Sì. The Hurt
Locker diretto con sapienza visuale insostenibile da Kathryn Bigelow,
una militante atletica e adrenalinica della nuova sinistra Usa, ci
proietta proprio dentro questo incubo. Essere costretti, per la pace, a
fare un film di guerra. Dunque partecipiamo da dentro al lavoro delle
unità speciali addette allo sminamento di strade, bombe a orologeria e
kamikaze. È la pericolosa guerra dei «pacifisti» armati, un altro tipo
di delirio suicida. Un film di guerra contro la guerra, dedicato non
solo ai dissidenti ma anche a chi non sa, non può sapere dai media che
succede a Baghdad. |
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Maurizio Porro - Da
Il Corriere della Sera, 10 ottobre
2008 Adrenalina pura nell' inferno Iraq La guerra è una droga, avverte Kathryn Bigelow alle prese con il suo film più maschile. E il cinema è adrenalina, in questo caso spesa bene, non per inutili fantasy. La storia scritta dal reporter di guerra Pulitzer Mark Boal ( cui s' era ispirato Haggis per The valley of Elah) parla del team specialista nel disinnescare mine in Iraq. La guerra è assuefazione come dimostra l' «eroe» protagonista che, dopo la licenza con salto in famiglia, torna in guerra: la coazione morale a ripetere. Il discorso a metà tra vero e finto, meno estremo di Brian De Palma in Redacted ma ligio alle categorie virili del western, fa nascere dalle rovine del cinema bellico una straordinaria storia in cui vengono prepotenti alla ribalta fattori umani, la pìetas (il bambino che vende dvd taroccati, il kamikaze esplosivo) di chi a volte ha solo un minuto per decidere tra vita e morte: è un poster per dichiarare la pace. Voto 8 |
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Boris Sollazzo - Da
DNews, 10 ottobre 2008 Dopo "Strange Days" l'adrenalinica Bigelow ci conduce all'Inferno La cassetta del dolore. È la traduzione del bel titolo del film di Kathryn Bigelow, straordinaria, controversa, potente artista visiva. Che sia la scatola degli effetti personali di un soldato caduto o il detonatore di un esplosivo, rimane un mistero. Nata pittrice e poi diventata regista, i film di Kathryn sembrano fatti apposta per essere cult da odiare o venerare. Il suo stile sincopato e veloce, la sua sensibilità, ci ha portato a esaltarci cavalcando le onde di Point Break, festeggiando l'apocalittico capodanno di Strange Days e ora ci prende a pugni nello stomaco disinnescando bombe in Iraq. Regista molto maschia anche se le sue donne, appena accennate hanno una femminilità fortissima- è sempre alla ricerca dei punti di rottura, di ciò che porta gli uomini all'estremo e allo stremo. Determinante è stato l'incontro con Mark Boal, già ispiratore di Paul Haggis per lo splendido Nella valle di Elah e qui coproduttore e sceneggiatore, inviato di guerra in Iraq ben poco embedded che le ha raccontato dell'unità speciale che disarma le bombe nei teatri di guerra. Un manipolo di uomini deboli e incoscienti, in perenne partita a scacchi con la morte. La cineasta si ubriaca di emozioni forti e contraddizioni, per lei e per chi l'apprezza l'adrenalina, l'eroismo, il superomismo che diviene alienazione è droga pura. Interessante e imperfetto, i primi 40 minuti di questo film sono cinema puro, vi troverete assediati e schiacciati dalla paura, catturati da questi astronauti terrestri che combattono la morte con un paio di pinze, per poi scivolare in un patriottismo ingenuo e superficiale. Ma sentirete dentro quello che di solito giudicate, e questo val bene anche metà film non all'altezza. |
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Tullio Kezich - Da
Corriere della Sera Magazine, 9
Ottobre 2008 Arriva sugli schermi il film che avrebbe dovuto vincere il Leone d'oro a Venezia Avendo rinunciato da tempo a lavare la testa all'asino, ossia a polemizzare con le giurie, mi guardo bene dal sostenere che il verdetto doveva essere a favore di The Hurt Locker, lascio che parlino i fatti. l dieci critici che votavano su Ciak, il quotidiano della Mostra, hanno dato la preferenza al titolo di Kathryn Bigelow; e anche il pubblico, nella stessa sede, l'ha piazzato buon secondo dopo un delizioso cartoon di Miyazaki. Va detto inoltre che la brava regista, unica donna in concorso, ha collezionato non meno di 5 premi collaterali, mentre dal consesso ufficiale non è arrivato nessun riconoscimento. Se per Wim Wenders e compagni il film non è esistito, a me ha lasciato un'impressione profonda perché è forse la prima volta che ìl cinema di guerra affronta una realtà psico logica difficile da capire e ancor più da descrivere. Non si limita a constatare che ogni conflitto armato, nel nostro caso quella sanguinosa litania mortuaria che si trascina senza fine in Iraq, è il male in assoluto, ma ci fa toccare con mano come a questo inferno uno si può assuefare fino a non riuscire più a starne senza. È ciò che capita all'eroe impersonato da Jeremy Renner, uno specialista nel disinnescare le bombe più pericolose spesso presentato in una tuta corazzata tale da renderlo somigliante a un samurai o a un pilota spaziale. Insomma un alieno, un dannato morbosamente attaccato alla sua condanna. La guerra come vita: non è un messaggio vivido e doloroso sul quale vale la pena di meditare? |
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Paola Piacenza - Da Il Corriere della Sera, 28 settembre 2008
«Qual è il modo migliore per disinnescare uno di questi affari?» chiede il comandante ammirato al sergente. James, l'eroe che tra Afghanistan e Iraq, e tra mine, bombe e kamikaze, ha già collezionato 900 ordigni (qualcuno lo tiene come souvenir sotto la branda). «Quello in cui non si muore» è la risposta. Ognuno ha la sua droga. E la guerra è la più potente, come dice Kathryn Bigelow in The hurt locker il primo film diretto da una donna che racconta il fronte iracheno (ricostruito in Giordania), il primo che non abbracci una delle due cause possibili, pacifismo o patriottismo. Perché anche Kathrynn Bigelow - statuaria 57enne che fece esclamare a Gillo Pontecorvo, all'uscita dalla proiezione di Strange days, «Da come dirige sembra che abbia due palle così» - ha la sua droga. L'azione. di The hurt locker, che ha un titolo persino un po' psicanalitico, "l'armadietto del dolore", è questo: l'azione della guerra. Quella dell'unità di artificieri Victory («Prima ci chiamavamo Liberty. Victory suona meglio») addestrata a sfidare la morte ogni giorno armata solo di un paio di pinze. La copia carbone di quella con cui il giornalista embedded Mark Boal, sceneggiatore del film, ha trascorso il tempo di una missione in Iraq. Poetessa di categorie poco integrabili, vampiri, biker, serial killer; sperimentatrice da quando esordì come artista a cavallo tra Settanta e Ottanta nel circolo di Susan Sontag, Robert Mapplethorpe, Richard Serra, Philip Glass; adrenalinica, virile, tachicardica, «più violenta di Tarantino», Bigelow in due ore e 10, senza pause e pochissimi sconti, ci fa fare esperienza della guerra. «l'adrenalina, la pulsione omicida si mangiano tutto a cominciare dalla ragione: perché i soldati sono lì?» si è chiesto un critico. Il sergente James, lo sconosciuto
Jeremy Renner, bravissimo come i suoi commilitoni Anthony Mackie e Brian
Geragthy che la giuria del festival di Venezia dove il film era in
concorso non ha, colpevolmente, considerato per la coppa Volpi, è nel
suo mondo solo quando è sotto il tiro dei cecchini o alle prese con un
padre di famiglia imbottito di tritolo a orologeria. Il più rassicurante
degli scenari, l'infilata di cereali per la colazione del supermercato
di casa durante una licenza, inveceè terra straniera. Signora Bigelow, ha fatto un
film militarista e filo-Bush? Non è proprio uno scoop. Sicura che la verità oggi possa
venire da giornalisti embedded? Sette film in 25 anni, l'ultimo
otto anni fa. Pigrizia oppure il sistema non è gentile con una donna
«che lavora come un uomo»? Di lavorare in Giordania? Ha deciso per chi voterà? È una come lei che ha sempre
messo in scena donne virili, al limite dell'androginia, che idea si è
fatta della vice di McCain, Sarah Palin? Se il cambio di amministrazione
non ci dovesse essere, qual è la prospettiva, la guerra eterna? |
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Marianna Cappi - da
www.mymovies.it Un racconto solido, tra coraggio e alienazione, su quell'immmenso contenitore di alibi che è la guerra I 40 giorni al fronte, in Iraq, di
una squadra di artificieri e sminatori dell'esercito statunitense, unità
speciale con elevatissimo tasso di mortalità. Quando tutto quel che
resta del suo predecessore finisce in una "cassetta del dolore", pronta
al rimpatrio, a capo della EOD (unità per la dismissione di esplosivi)
arriva il biondo William James, un uomo che ha disinnescato un numero
incredibile di bombe e sembra non conoscere la paura della morte. Uno
che non conta i giorni, un volontario che ha scelto quel lavoro e da
esso si è lasciato assorbire fino al punto di non ritorno. |
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Monica Cabras - da
www.filmup.com Dopo anni di permanenza in Iraq, un numero sconsiderato di vittime e un conflitto che ha creato mille polemiche, sembra che l'attenzione su quella parte del mondo vada via via scemando. Il film "The Hurt Locker", in concorso alla 65ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, ci riporta a quei deserti e quelle località martoriate, per vedere l'uomo oltre il soldato. La pellicola, diretta dalla regista Kathryn Bigelow ("K-19", "Point Break - Punto di Rottura") è tratta dalle dirette esperienze del giornalista e sceneggiatore Mark Boal, che ha documentato molti dei suoi giorni in Iraq in un reportage da cui si è ispirato anche il regista Paul Haggis per il suo "Nella valle di Elah". "The Hurt Locker" osserva da
vicino un gruppo di soldati americani appartenenti all'unità speciale
che si occupa di disinnescare bombe e ordigni esplosivi. Un compito di
per se già abbastanza pericoloso, ma che svolto nel bel mezzo di un
conflitto diventa una vera partita con la morte. La regista descrive molto bene
questa sensazione, e sembra quasi che i protagonisti abbiano assunto una
dura corazza che li fa apparire di pietra. Ma il lato umano non è andato
completamente perduto come si può pensare, al contrario è li pronto ad
esplodere da un momento all'altro. Alla fine sembra sia solo
l'adrenalina a farli andare avanti, e spesso è proprio la ricerca di
quell'adrenalina che li fa tornare al fronte anche dopo finito il
periodo di servizio. Come se fosse una necessità. |
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