i film
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Titolo del film:
STELLA (Stella) Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Sylvie Verheyde Fotografia: Nicolas Gaurin Musica: NousDeux the Band Interpreti: Léora Barbara (Stella), Karole Rocher (Madre di Stella), Benjamin Biolay (Padre di Stella), Melissa Rodriguès (Gladys), Laëtitia Guerard (Geneviève), Guillaume Depardieu (Alain-Bernard), Johan Libéreau (Loïc), Jeannick Gravelines (Bubu), Thierry Neuvic (Yvon), Valérie Stroh (Signora Tillier Dumas), Anne Benoît (Signora Douchewsky), Christopher Bourseiller (Signor Larpin). Genere, durata e nazionalità: Drammatico, 103', Francia |
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Trama 1977. Stella é una ragazzina di undici anni, che vive in un quartiere operaio fuori Parigi. I sui genitori gestiscono un bar e sono riusciti a far ammettere Stella in una prestigiosa scuola della città, frequentata da ragazzi borghesi. Gladys, figlia di intellettuali ebrei argentini, diventa la sua migliore ed unica amica. La casa di Gladys, é piena di libri che suscitano l'interesse di Stella e che la faranno crescere ricoprendola di emozioni... |
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Rassegna Stampa | |||||
Adrea D'Addio - www.filmup.com
1977, Parigi. Il primo anno di liceo
non è certo facile: nuove compagne di classe, nuovi maestri, la
responsabilità di dover diventare una studentessa "vera", e cioè
studiare, per essere promossa e non semplicemente frequentare. Per
Stella la situazione è ancor più difficile dato che, a differenza di
tutte le altre compagne, borghesi e di ceto sociale elevato, viene da
una famiglia popolare. I genitori gestiscono un bar e delle decadenti
stanze da affittare e non badano troppo al benessere "culturale" della
figlia e i clienti del bar, con cui gioca a carte e chiacchiera del più
e del meno, sono una sorta di zii acquisiti. |
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Alessandra Levantesi
- Da La Stampa, 12 dicembre 2008
Scritto e diretto da Sylvie Verheyde,
forse autobiografico, Stella è uno di quei film preziosi che a
raccontarli pare di tradirne la verità. Ne è protagonista (e «io»
narrante) una ragazzina undicenne della banlieue parigina, capitata in
una scuola borghese dove si sente l'esclusa. Cresciuta in un ambiente di
alcolisti, frequentatori del bar dei suoi genitori, Stella conosce il
biliardo e le trappole della vita, ma ignora l'ortografia e Balzac.
Saprà far tesoro dell'esperienza? |
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Alberto Castellano -
Da Il Mattino, 13 dicembre 2008
Con «Stella», il suo terzo lungometraggio, la regista francese Sylvie Verheyde, ispirandosi alla propria infanzia, vuole ricordarci che oltre all'ovattato mondo borghese del «Tempo delle mele» di Sophie Marceau, negli anni Settanta esistevano i proletari e i sottoproletari delle banlieue parigine, dove il delicato passaggio dall'infanzia all'adolescenza poteva diventare la spia di un malessere non solo generazionale. In realtà l'undicenne Stella del titolo è figlia dei ragazzini di «Gli anni in tasca» di Truffaut, ma anche della dolorosa protagonista di «La piccola ladra», ma l'autrice sembra incrociare anche la disperata e poetica solitudine della «Mouchette» di Bresson e il fantasioso ottimismo del «Favoloso mondo di Amelie». Al suo primo anno di scuola media, Stella si divide tra il bar gestito dai genitori e il prestigioso istituto che frequenta. Qui conosce Gladys, figlia di uno psichiatra, che la fa entrare in contatto con un mondo fatto di musica, letteratura, sogni e sicurezze. La ragazza passa, così, con disarmante disinvoltura dalle difficoltà dell'apprendimento scolastico di base alla naturale curiosità per Balzac e la Duras, oscilla tra teneri slanci e gesti affettuosi e l'indignazione che la spinge a minacciare con un fucile l'amante di sua madre. Evitando le suggestioni sociologiche e la retorica politica, la Verheyde si mantiene su toni favolistici ma senza dimenticare l'obiettivo di raccontare la difficoltà e la sofferenza di essere ragazzi. E affida allo sguardo innocente ma incisivo di Stella la radiografia di un mondo adulto in disfacimento, dalla fragilità delle illusioni degli anni '70 all'insensibilità di genitori in crisi e assenti. Presentato a Venezia e distribuito dalla Sacher di Moretti, «Stella» è un'opera asciutta, pudica in cui il lavoro di sottrazione della regista ha trovato nella piccola straordinaria Léora Barbara l'interprete ideale. |
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Maurizio Porro - Da
Il Corriere della Sera, 12 dicembre
2008
Dopo Cantet, anche Sylvie Verheyde, al terzo film, entra in classe per osservare pensieri e azioni di Stella, ragazzina anni 70 che viene dalla periferia e vive nel bar dei genitori popolato da un' umanità folk con personale senso del pudore e dell' alcol. Snobbata dalle amichette borghesi, trova affetto in Gladys che la introduce alle gioie del libro coltivando Balzac e la Duras. La fiducia nel pensiero e nella cultura sono il jolly di Stella e di questo racconto limpido e dai precisi scatti emozionali, dove la colonna sonora segue le hit del tempo e la regia dipinge con tratti impressionisti da Truffaut il passaggio dalla fanciullezza all' adolescenza. Il film non sarebbe lo stesso senza la franca espressività di Leora Barbara dallo sguardo dolce e ispido dove si annida la fine dell' età dell' innocenza che passa il testimone al valore della conoscenza: un messaggio che vale un tesoro. Voto 7 |
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Luigi Paini - Da
Il Sole 24 Ore, 14 dicembre 2008 Sapessi com'è strano essere l'unica ragazzina povera (e un po' sbandata) in una scuola dei quartieri-bene di Parigi, a metà degli anni 70. Stella non è solo il titolo del delicato film di Sylvie Verheyde: è il nome della piccola protagonista, cresciuta in un bar gestito da mamma e papà (non proprio genitori-modello) e assai poco propensa a dedicarsi agli studi. È il caso che ha deciso la sua destinazione scolastica, non certo una scelta educativa. E infatti, il primo trimestre è un disastro: nessun progresso, matematica, francese e inglese da far paura, solo qualche spiraglio in disegno e storia. E i compagni? Tutti con la puzza al naso, tranne la vicina di banco, diligente e piena di umanità. Un'altra classe, rispetto a quella contemporanea descritta da Cantet nell'altro bel film d'ambiente scolastico di provenienza francese: una classe in cui, a costo di piccole-grandi sofferenze, si cambia pelle, abituandosi alla vita. |
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Boris Sollazzo - Da
Liberazione, 5 dicembre 2008
Parigi, 1977. La classe operaia
che ciondola nell'inferno di un Caffè caotico, preso da feste scatenate
quanto disperate, partite del Saint Etienne di un giovanissimo Platini,
sentimenti spesso brutti, sporchi e cattivi. L'alta borghesia in una
scuola d'elite fa tutto questo con maggiore eleganza e forse perfidia.
In mezzo a questo panorama avvilente crescono Stella e Gladys. Ecco la
location, geografica e sociale, di Stella . La prima è una "somara" che
vive nel caffè dei genitori (Karole Rocher e Benjamin Biolay, facce da
cinema), la seconda è figlia di intellettuali argentini esiliati.
Cresceranno insieme, due piccole nerd in mezzo a una giungla d'avvoltoi.
La piccola argentina (Melissa Rodrigues) insegnerà alla sodale operaia (Leora
Barbara) il piacere di leggere Balzac e di cercare l'affetto in una
risata e in una stretta di mano più che in una partita a carte e in
ammiccamenti più adulti di lei, l'altra attraverso gli occhi di Stella
scoprirà qualcosa in più del mondo vero che la circonda e da cui è
protetta. Sylvie Verheyde, qui al terzo lungometraggio, attinge alla sua
autobiografia per ricostruire l'educazione sentimentale di una bimba
fragile che sta diventando donna, di una troppo povera per le compagne
di classe, e troppo ricca e "parigina" per le terre d'origine (il nord…chez
le ch'tis). |
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Francesco Alò - Da
Il Messaggero, 5 dicembre 2008 Stella è una ragazzina di umili origini precipitata in una prima media parigina sofisticata del 1977. I suoi gestiscono un caffè frequentato da simpatici e chiassosi avventori. Il loro rapporto in crisi li allontana gradualmente dalla figlia. Sarà l'amicizia con la compagna di classe Gladys, figlia di colti ebrei argentini scappati dal regime militare, a far conoscere a Stella il piacere della lettura (Balzac, proprio come capitava all'Antoine Doinel de I 400 colpi) e il calore di una mano stretta nel buio. Prima di ciò Stella lancerà delle forbici nel petto di una compagna, sbatterà su un termosifone la testa di una bambina antipatica e incontrerà le attenzioni del pedofilo che non ti aspetti. Ma anche gli eventi più drammatici vengono raccontati con positività dalla voce over fin troppo saggia della nostra protagonista. Stella di Sylvie Verheyde è un po' I 400 colpi di Truffaut, un po' Il tempo delle mele. La famiglia che si spezza, le prime cotte, gli amici delle vacanze, la vita come scuola fuori dalla classe e la scuola pubblica come luogo che avvicina le classi sociali. Il film racconta l'adolescenza di una ragazzina particolare ma parla a tutti perché sa essere delicatamente universale. Niente di epocale ma molto gradevole e ben fatto. Presentato alle Giornate degli Autori all'ultima Mostra di Venezia.F |
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Cristina Piccino - Da
Il Manifesto, 5 dicembre 2008
Stella ha undici anni, la pelliccetta finta sul
collo della giacca, è cresciuta nel bar di mamma e papà, in mezzo agli
adulti loro amici, musica e alcol «a rischio di cirrosi» fino a notte
fonda, quando si tira giù la saracinesca e si balla. La madre adora i
colori vistosi, è lei a fare tutto mentre il padre, «un po' bugiardo, un
po' seduttore» (è pur sempre Benjamin Biolay, la star della canzone
francese) è lì a farsi bello coi clienti. Stella sa tutto di carte e di
calcio ma non sa nulla dei «classici» francesi, e tra le nuove compagne
di scuola dello snobissimo liceo parigino, quella pelliccetta scatena
risatine imbarazzate. Siamo nel 1977, la ragazzina scrive male, studia
poco, è la proletaria tra le molto «perbene» che vanno a dormire alle
otto di sera e non guardano la televisione. Ma come insegna Peter
Whitehead, geniale cineasta della controcultura inglese (e unico
proletario da ragazzo in una scuola di nobili), è sveglia, carina,
abbastanza ironica per guardare quel mondo dietro la facciata, e
conquistarlo. Professori compresi, pure quelli più ottusi, che
sostengono la scuola di classe. Stella, terzo film di Sylvie Verheyde, è
un racconto quasi classico di formazione, che narra con semplicità e
anche qualche difetto (ma averceli film così nel cinema nazionale)
l'adolescenza sul confine dell'infanzia, la scoperta di orizzonti anche
aspri, nei quali lo scintillio dei sogni di bimbi sembra perdere di
luce. Parla di amicizia e di amore, di tenerezza e di complicità, del
dolore che arriva quando una persona cara ti tradisce - c'è una scena in
cui uno dei tanti avventori del bar con cui Stella è cresciuta tenta di
violentarla. E del trauma che comporta entrare in una realtà
sconosciuta. |
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Maurizio Cabona - Da
Il Giornale, 5 dicembre 2008 I bar erano sempre fumosi. D'inverno, i loro vetri s'appannavano. Ciò li rendeva come antri. Ma qui persone diversamente colte e diversamente orientate – la politica contava ancora più che l'economia – riuscivano a eludere la solitudine. Avevano un bar, trent'anni fa, i genitori di Sylvie Verheyde, regista dell'autobiografico Stella, che racconta lo scontro col mondo borghese per lei, ormai adolescente, ma abituata nell'infanzia alla rudezze proletarie della clientela. In questa piccola storia ci sono verità, come quella che il muro sociale più alto è quello che pare non esserci. Guillaume Depardieu, poi scomparso, è il cliente beone che gioca a calcio-balilla e anche il più simpatico. Da vedere. |
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Marianna Cappi - da
www.mymovies.com
Francia, 1977. Stella, una ragazzina
dei quartieri operai, viene ammessa a frequentare il primo anno di una
prestigiosa scuola media, dove si trova come un pesce fuor d'acqua
finché non conosce Gladys, la prima della classe, amica per errore e per
fortuna. |
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