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Titolo del film: LEZIONE VENTUNO (Lezione ventuno)

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Alessandro Baricco

Fotografia: Gherardo Gossi

Musiche: Le musiche per quartetto d'archi sono state arrangiate ed eseguite da Mario Brunello.  

Interpreti: Noah Taylor (Hans Peters), Clive Russell (Hoffmeister), Leonor Watling (Martha), John  Hurt (Mondrian Killroy) Tim  Barlow (Simrock), Natalia Tena (Thomson), Andy Gathergood (Schott 1), Daniel Tuite (Schott 2), Rasmus Hardiker (Broderip), Phyllida Law (Boheme), Adrian Moore (Piggot), Matthew Reynolds (Goetz), Clive Riche (Imbault), Franco Pistoni (Weigl), Chiara Paoli (Ragazza del lago), Daniel (Harding), Direttore d'orchestra

Genere, durata e nazionalità:Drammatico, 92', Italia

   
         
    Rassegna Stampa    
         
   

   Claudio Carabba -Corriere della Sera Magazine, 20 Ottobre 2008

   Sbalzato via dalle pagine di City, il più originale romanzo di Baricco, il professor Kilroy tiene la sua dura lezione sulla Nona di Beethoven. In un altro spazio, in un altro tempo, un violinista muore assiderato. Intrecciando i sentieri, il neoregista ambizioso gioca con le belle immagini e riflette, come il Jarman di Wittgenstein, sulla vecchiaia che stringe l'arte e la vita.
 

   
         
       Boris Sollazzo - Da Liberazione, 17 ottobre 2008

   Eccentrico e geniale o egocentrico e presuntuoso? Dubbio legittimo se qualcuno decide di attaccare frontalmente la "Nona sinfonia" di Beethoven prendendola come simbolo ed esempio dei capolavori sopravvalutati. Ben 141 nella storia del mondo, secondo il professor Mondrian Killroy, e ne vediamo alcuni, tra cui 2001 Odissea nello spazio e l' Ulisse di Joyce - «amo Kubrick», ha puntualizzato Baricco, «non li ho scelti solo io» - in una delle prime sequenze del film Lezione 21 , il primo film dello scrittore, teatrante, musicofilo (ed ex critico), Alessandro Baricco. La lezione 21 è una mitica disquisizione di Kilroy, bizzarro docente con la faccia di John Hurt, a proposito di ciò che realmente successe il 7 maggio 1824, quel pomeriggio in cui, a Vienna, fu presentata la mitica "Nona" di Ludwig Van. Un thriller, un noir, quasi un western musicale per svelare una delle più grandi mistificazioni della cultura occidentale (e poi ce la prendiamo con la tv e Berlusconi), almeno a parere di Kilroy e, quindi, di Baricco. Quel capolavoro applaudito da tutti, il grande ritorno sulle scene di un Beethoven malato e vecchio, forse, non fu un trionfo, ma ce lo hanno disegnato così. Chi? Gli amici del musicista, i potenti del tempo, i benpensanti. E Mondrian Killroy decide di raccontarlo alla sua classe di discepoli adoranti raccontando la vicenda surreale del maestro di musica Hans Peters (Noah Taylor), una storia nella storia: la prima si svolge in una montagna innevata con una compagnia di giro buffa e affascinante, la seconda è una sorta di mockumentary con testimonianze di chi quel giorno di maggio c'era. O di chi comunque sapeva. A dividere la narrazione, gli intermezzi di chi sta raccontando il tutto, o meglio ricordando la mitica lezione 21: un gruppo di studenti, tra cui la pupilla del prof, una Leonor Watling ispirata e affascinante. Sembrano tutti ingredienti per una ricetta perfetta, e invece ne esce fuori un film incompleto e a tratti irritante. A Baricco riesce la parte più difficile, il creare interesse attorno a un quesito intellettuale lontano nel tempo e di non immediato interesse. Questa iconoclastia "barbarica", che si rivela anche nel fare un film sul grande maestro mostrandolo solo per quattro secondi ma di spalle, si accompagna però a una struttura parallela pretenziosa, in cui scene interessanti - alcune soluzioni visive, pur non nuove, denunciano un buon talento nel neoregista - si alternano a dialoghi improbabili e a una sceneggiatura zoppicante e imperfetta, piena dei vezzi e dei vizi del Baricco scrittore, troppo indulgente verso il proprio lato kitsch, barocco e faticoso. La soluzione metanarrativa, colonna portante del film, si rivela infelice, lì dove poteva cavarsela col mestiere, proprio e altrui (importante lo sforzo produttivo). Baricco, insomma, convince a metà, lascia andare via un ottimo inizio e una buona intuizione sfilacciando il film come Killroy fa con la sua vita, rifugiandosi in un bowling in incognito, insieme a una comunità di homeless. Un'opera che farà litigare i suoi fan con i suoi detrattori: i primi continueranno a ritenerlo un genio, i secondi un impostore. Un altro bel giallo, in fondo.

   
         
       Fabio Ferzetti - Il Messaggero, 17 ottobre 2008

   Un saggio in forma di favola. Un giallo metafisico e mèta-musicale. Un film che ne ricorda tanti altri ma è spesso originale e sorprendente. L'esordio alla regia di uno scrittore che qui non viene dal cinema né dalla letteratura, malgrado tutto, ma dalla critica (musicale) e dalla divulgazione (televisiva e dal vero). Infatti ricapitola il farsi di un'opera - e che opera: la Nona sinfonia di Beethoven! - e insieme la costruzione del suo mito (nota: "divulgazione" non è una parolaccia, al contrario). Lezione 21 di Alessandro Baricco è tutte queste cose insieme articolate su tre piani di racconto. Sul piano "realistico" seguiamo, oggi, la lezione di uneccentrico professore (John Hurt) deciso a smontare la fama di 21 opere sopravvalutate (dal Partenone all'Ulisse di Joyce: caccia grossa, è più divertente). Il piano fiabesco si divide in due. Da una parte c'è un maestro di musica che sta per morire fra i ghiacci abbracciato al suo violino, nel 1831, ma viene salvato e preparato all'estremo passo da una bizzarra congrega di eletti che sembrano saperla lunga sul nostro mondo (e non solo), dunque ne approfittano per chiarirgli le idee sul poco amato Beethoven. Dall'altra sfilano una serie di testimoni d'epoca, più o meno svestiti e imparruccati, intenti in faccende triviali come bere e mangiare (o suonare), che raccontano come andò la leggendaria "prima" della Nona il 7 maggio 1824, a Vienna. Grazie a questo calderone di chiacchiere, dicerie, impressioni, testimonianze dirette ma non per questo autorevoli, Baricco proietta la Nona sul suo sfondo storico, fra guai personali, mode musicali (tramontato Beethoven, il nuovo dio era Rossini), azzardi estetici, pettegolezzi (anche quelli concorrono a creare il mito, eccome); e insieme la cala nel nostro presente (spassoso l'interrogatorio stile telequiz del povero morituro). Ma un conto è ciò che il film dice, intelligente e a tratti un po' enfatico, altro ciò che mostra: ed è qui che Lezione 21 sorprende. Sono molto belle infatti le testimonianze ("Volevo fare della faccia di uno che parla uno spettacolo"), sono ben trovati certi accostamenti visivi e musicali (il ghiaccio, gli zoccoli dei cavalli, il gran concerto della Natura). Peccato solo non godere tutto questo in versione originale. Nessuno doppierebbe una grande orchestra, inoltre non tutto suona allo stesso modo in lingue diverse. In inglese Lezione 21 è fluido e originale. In italiano molto meno. Anche la lingua è musica.

   
         
       Cristina Piccino - Il Manifesto, 17 ottobre 2008

   Dopo l'anteprima mondiale al festival di Locarno 2008, dove Lezione 21 è stato presentato in piazza Grande il 23 giugno scorso, Alessandro Baricco, autore tradotto planetariamente - il che non è per forza garanzia di qualità - presenta oggi nelle sale italiane la sua opera prima, scritta e diretta, dopo 4 sceneggiature (tra queste La leggenda del pianista sull'oceano e Seta, dal suo romanzo, che Francois Girard ha trasformato in un film prodotto da Baricco nel 2007) e una prova d'attore (Il cielo è sempre più blu).
Lezione 21 sfoggia la cultura musicale di Alessandro Baricco, diplomato al conservatorio, che distilla un po' di sé nella figura del protagonista, Mondrian Killroy (John Hurt), professore universitario adorato dagli studenti e inviso all'accademia, perciò bravo, che amava smitizzare le opere d'arte unanimamente sopravvalutate.
La sua lezione più famosa è proprio la Lezione 21 in cui distrugge la Nona di Ludwig van Beethoven e l'Inno alla Gioia. Non è vero, dice, che Beethoven era stato messo da parte ingiustamente. Piuttosto, la sua musica era vecchia, superata come lui, un anziano accidioso senza più accesso, se non per brevi istanti, alla bellezza. L'aspetto «didattico» del film è la sua cosa migliore. Vicino al Baricco televisivo di L'amore è un dardo, ne riprende la leggerezza nell'analisi di un opera, un autore, il suo tempo mischiando Storia e narrazione romanzata, introducendo diversi personaggi, punti di fuga rispetto al soggetto principale.
Nella Lezione 21 del professore a Beethoven si sovrappone la figura di Hans Peters (Noah Taylor, quello di Shine) un giovane maestro di musica trovato congelato su un lago vicino a Vienna e morto probabilmente suonando. Secondo il professore prima di andarsene aveva visto un angelo, conquistando anche lui il suo istante di bellezza (nella scena peggiore del film). Consulenza visuale di Tanino Liberatore, montaggio di Giogiò Franchini, Lezione 21 però, e purtroppo, ambisce a essere molto altro.
Intorno alla lezione Baricco costruisce una scenografia «barocca» di citazioni, mondi paralleli, ammiccamenti. Il professore vive in un bowling nella comunità di eccentrici homeless che sono anche gli attori della sua fantasia, delle immagini di un eccentrico ottocento postatomico con cui nella mente rappresenta la sua lezione 21.
Si guarda a Derek Jarman, al suo Wittgenstein, nel passaggio di passato declinato al presente dove un coro di parrucche e ciprie cita il G8, anche se parla del congresso di Vienna. Teatro alla Tom Stoppard, suggestioni da Shyamalan, una costruzione letteraria esibita fino alla perdita di ogni mistero, e la provocazione che poteva essere come il divertimento si sciolgono affondando in una leziosità noiosa, in cui nessuno dei maestri «esibiti», neppure il caustico professor Killroy, sembra avere lasciato il segno.

   
         
       Tullio Kezich - Il Corriere della Sera, 17 ottobre 2008

   Ero quasi sicuro, l' estate scorsa al Festival di Locarno, che Lezione 21 non mi sarebbe piaciuto perché diffido della musicologia romanzata anche quando si chiama Amadeus. E invece fin dalla proiezione per la stampa l' opera prima di Alessandro Baricco mi conquistò. Temevo tuttavia che fosse un rischio presentare un film tanto raffinato ed elitario a 8000 spettatori; e la sera stessa mi recai in Piazza Grande per vedere cosa succedeva. Sorpresa! Il pubblico seguì la proiezione con palese interesse e alla fine applaudì. Non oso sperare che questo risultato sia in qualche modo d' auspicio per la carriera nelle sale, ma resta un evento imprevisto su cui ho riflettuto parecchio. E ho concluso che Lezione 21 attrae perché riesce a parlare di musica in modo né aulico né dilettantesco, proprio come se ne parla fra orchestrali, coristi o loggionisti. In tono spesso pettegolo eppure coinvolto: scienza e gossip, passione e diffidenza. Tale prassi ridimensiona gli idoli, in questo caso il venerando Beethoven, ma con incorporato il rammarico di averlo fatto. Baricco riprende un suo personaggio di fantasia, un professore bizzarro e geniale dedito a smontare i falsi capolavori, che nei suoi calcoli sarebbero ben 144. Intravediamo nel suo studio una copertina di Joyce e scopriamo l' antifona. La lezione numero 21 è dedicata a buttar già dal piedistallo la Nona Sinfonia. Ci parla (e ne parla soltanto, perché Ludwig appare per un attimo e di spalle) di un genio invecchiato, smalazzato e da un decennio assente dall' agone sinfonico. Pur riconoscendogli una residua genialità nelle coeve opere minori, si ironizza sull' umana debolezza che spinse da sordo il gigante di Bonn a dirigere personalmente la sinfonia continuando ad agitare la bacchetta quando l' orchestra aveva da un pezzo smesso di suonare. Si deplora l' opportunismo che indusse il maestro a scrivere nel 1815 La vittoria di Wellington, un pezzo d' occasione nutrito di effettacci sonori, in sincrono con il trionfo della reazione al congresso di Vienna; e contro quel Napoleone al quale, anni prima, aveva dedicato l' Eroica. Adesso il compositore, travolto dalla concorrenza lieve e orecchiabile di Rossini, sente il bisogno di un rilancio e non esita a sfruttare tutti gli accorgimenti dell' esperienza, compresa l' introduzione (da molti ritenuta sacrilega) della voce nel contesto sinfonico. Dall' Inno alla gioia di Schiller era però difficile cavare un' emozione per uno che la gioia non aveva mai saputo cosa fosse. Si aggiunga che le due esecuzioni della sinfonia furono tutt' altro che un successo. Forse è vero che il pubblico, vista l' inutilità di applaudire un sordo, lo festeggiò a vista agitando i fazzoletti bianchi, ma gli incassi furono miseri e i palchi vuoti tanti. Il maestro ci restò male e se ne adontò. La tesi del prof, che in seguito scompare dalla vita universitaria per dedicarsi quasi di nascosto allo studio della musica afro-americana, è chiara quanto fragile e reversibile. Perché se la Nona era una sinfonia a effetto, anche la 21 è una lezione a effetto. Basta l' attacco del coro, potente e coinvolgente, per ridimensionare qualsiasi riserva e Baricco lo sa benissimo. Rimane comunque chiaro il progetto paradossale e demistificatorio dell' impresa, poco chiara invece la suggestiva metafora del violinista che muore assiderato dopo aver frequentato per tre giorni una fantasmatica compagnia di musicanti uniti nell' impegno di rimpicciolire Beethoven. Qui il contesto, pur suggestivo, risulta alquanto sfuggente. Nella tessitura dell' immaginario si individuano senza pesare gli archetipi di Cocteau, Bergman, Pasolini, Ken Russel e soprattutto Carmelo Bene. Interpreti tutti bravissimi.

   
         
       Marco Giusti -  Il Venerdì di Repubblica, 10 Ottobre 2008

   Lezione 21 opera prima dello scrittore è un saggio sulla «Nona Sinfonia» di Beethoven. Superiore alle trascrizioni cinematografiche di Seta e Il pianista sull'Oceano Bisogna ammetterlo. Lezione 21 opera di Alessandro Baricco per il cinema ha almeno due qualità. È un vero, complesso film d'arte, come se ne facevano un tempo in Italia, e ancor più un vero film di produzione: in questo caso la Fandango, responsabile anche del successo di Gomorra.
Rispetto ad altre follie beethoveniane, come l'ingenuo Musikanten (2006) di Franco Battuto, o altre trasposizioni cinematografiche di opere di Baricco (l'eccessivo La leggenda del pianista sull'Oceano, 1998, di Giuseppe Tornatore, o il superficiale Seta, 2007, di Frangois Girard), è un'opera, non solo superiore a quelle citate, ma di vero livello internazionale, girata in inglese con attori come John Hurt, Noah Taylor e Leonor Watling, dove Baricco riesce a «costruire» la sua lezione sulla Nona Sinfonia di Beethoven. Perché, è vero, nel film ci sono l'intrecciarsi di vari livelli e generi di racconto, una pista quasi da thriller sulla scomparsa di un professore universitario in cerca di falsi capolavori (quel Mondrian Kilroy già presente nel romanzo di Baricco City) e un'altra pista visionaria alla Terry Gilliam sulla morte romantica in pieno '800 di un maestro di violino inun paesaggio nevoso, M quello che interessa allo scrittore-regista è proprio la costruzione di un saggio sulla Nona, scritto a sua volta con i tempi di una sinfonia. Baricco trasferisce al cinema, con un linguaggio che un tempo si sarebbe detto sperimentale, non i suoi romanzi, male sue letture musicali dei tempi tv (L'amore è un dardo). Sul tavolo operatorio, insomma, non ci sono l'Inno alla gioia e il suo autore, ma il linguaggio di cui li sta sezionando Mondrian Kilroy o Barícco che sia.

   
         
       Stefania Ulivi - Corriere della Sera magazine, 24 Luglio 2008

   Scoperta da Pedro Almodóvar è diventata il mito erotico-intelligente spagnolo. Adesso sbarca a Locarno con il film d'esordio dello scrittore italiano. Intanto ha già inciso tre album e sogna un duetto con Tom Waits.
Francamente, poteva andarmi peggio». Leonor Watling, trentatreenne attrice anglo-madrilena, si diverte a leggere i titoli dei giornali spagnoli che la definiscono "il mito erotico-intelligente del cinema spagnolo", dando per scontato che i dite termini, erotico e intelligente, siano in contraddizione. «I giornali hanno bisogno di appiccicare etichette», commenta. «A me è andata bene, se non avessi un fisico "curvoso", chissà cosa avrebbero scritta». Il suo corpo riempiva lo schermo in Parla con lei (era Alicia, la studentessa di danza in coma di cui si prendeva cura Javier Câmara) di Almodóvar che l'ha voluta anche ne La mala educación. Adesso, dopo aver lavorato con i registi di punta del cinema iberico (oltre ad Almodóvar, Vicente Aranda, Alex de la Iglesia, Isabel Coixet), diventa la musa di Alessandro Baricco in Lezione 21, il film del debutto alla regia dello scrittore italiano. Leonor interpreta Martha, l'allieva prediletta del professor Mondrian Killroy che nella lezione che dà il titolo al film racconta il mistero della genesi della Nona sinfonia di Beethoven.
Di musica la Watling se ne intende abbastanza. Con la sua band, Marlango (con Alejandro Pelayo e Óscar Ybarra), ha appena pubblicato il terzo album Electring Morning. In questi giorni, in attesa di accompagnare al festival di Locarno Lezione 21 (dove sarà presentato in anteprima mondiale) lo porta in tour tra Spagna e Germania. «La musica per me è come il poker per un giocatore. Non posso farne a meno. Trovo sempre un posto dove farla». Anche in questo c'entra un po' Almodóvar: è stato lui a convincerla che poteva fare sul serio la musícista, lui a consegnarle nel 2004 il disco d'oro per il primo cd, Marlango.
Ma anche con Baricco la musica gioca un ruolo fondamentale, non solo perché è la trama su cui è intessuto Lezione 21. I Marlango di Leonor l'hanno accompagnato al festival "Palabras y Música" in alcuni recital. Eppure il Baricco che l'ha sorpresa, sostiene la Watling, è stato il Baricco regista. «Conoscevo il suo lavoro da scrittore, avevo letto i suoi libri, mi erano piaciuti. Ma non mi aspettavo che si sarebbe rivelato un regista così attento, non sapevo che il suo forte fosse la direzione degli attori. Pensi sempre che uno scrittore sia un solitario, impegnato a curare gli aspetti più letterari del film. Invece sul set era attentissimo al nostro lavoro, molto concentrato sull'interpretazione. Insomma, da Almodóvar te lo aspetti, da Baricco no». Non' sa bene come sarà il film. «È un'opera corale, molto difficile da descrivere e questo è sempre un buon segno». Nata a Madrid da madre inglese (di cui ha scelto di portare il cognome) si gode a pieno la sua doppia identità: «Mi piace essere frutto di una miscela di culture. Sono molto spagnola, e sono fortunata a vivere in un momento in cui essere spagnoli è particolarmente divertente, ma una madre ti segna molto: la sua lingua, la sua cucina, il suo senso dell'umorismo. C'è molto di lei in me, non solo il cognome. E poi, essere bilingue mi permette di lavorare in produzioni internazionali». E di doppiare in inglese alcune colleghe spagnole, come Penelope Cruz (prima della trasferta oltreoceano).
Dopo Locarno, se ne andrà in vacanza: niente cinema e niente musica («Anche se, visto che vivo con un musicista, è impossibile»). È in questi momenti che le vengono i pensieri. «Invidio molto i miei colleghi che dicono che fin da piccoli sapevano che avrebbero fatto gli attori. Per me recitare è una battaglia, mi fa soffrire molto, ma ho bisogno di farlo». Il momento di maggior sofferenza è la mondanità che non ama. Allergica al tappeto rosso è attratta dai palcoscenici. «Io che starei in maglietta e jeans tutto il tempo, e non amo mettermi in tiro per le occasioni mondane, mi diverto a vestirmi, truccarmi in modo pesante per cantare». Se dovesse scegliere chi accompagnare su palco non avrebbe dubbi: «Tour Waits».

   
         
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