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film
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Titolo del film:
IL DUBBIO (Doubt)
Regia:
John Patrick Shanley
Soggetto:
John Patrick Shanley (testo teatrale)
Sceneggiatura:
John Patrick Shanley
Fotografia:
Roger Deakins
Musica:
Philip Glass
Interpreti:
Meryl Streep (Suor Aloysius), Philip
Seymour Hoffman (Padre Flynn), Amy Adams (Suor James), Viola Davis
(Sig.ra Muller), Lloyd Clay Brown (Jimmy Hurley), Joseph Foster (Donald
Miller), Bridget Megan Clark (Noreen Horan), Lydia Jordan (Alice, Paulie Litt
(Tommy Conroy), Matthew Bradley Marvin (Raymond Germain), Evan Lewis
(John)
Genere, durata e
nazionalità: Drammatico, Usa, 104' |
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Trama Una suora che
gestisce una scuola cattolica nel Bronx si insospettisce per un presunto
caso di pedofilia quando uno dei preti del corpo insegnante inizia a
rivolgere particolare attenzione alla vita di uno studente
afro-americano. In realtà l'insegnante ha un approccio con gli studenti
innovativo e lontano dagli schemi tradizionali. |
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Note CANDIDATO AL GOLDEN
GLOBE 2009 PER: MIGLIOR REGIA, ATTRICE PROTAGONISTA DI FILM DRAMMATICO
(MERYL STREEP), ATTORE NON PROTAGONISTA (PHILIP SEYMOUR HOFFMAN) E
ATTRICE NON PROTAGONISTA (AMY ADAMS E VIOLA DAVIS)
CANDIDATO ALL'OSCAR 2009 PER:
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA (PHILIP SEYMOUR HOFFMAN), ATTRICE
PROTAGONISTA (MERYL STREEP) E NON PROTAGONISTA (AMY ADAMS E VIOLA
DAVIS), SCENEGGIATURA NON ORIGINALE. |
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Rassegna Stampa |
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Roberto Escobar - Da
Il Sole-24 Ore, 8 febbraio 2009
Nell'ultimo bel film di Shanley si racconta la storia di padre Flynn,
coinvolto negli anni '60 in una storia di pedofilia. Vera o presunta?
È o non è colpevole, padre Brendan Flynn (Philip Seymour Hoffman)?
Questa è, o sembra, la domanda che dà senso a Il dubbio (Doubt,
Usa, 2008, 104'). Sorella Aloysius Beauvier (Meryl Streep), preside
della scuola di St. Nicholas, nel Bronx, sospetta che il prete abbia
abusato di Donald Miller (Joseph Foster). Donald è il solo allievo
afroamericano. Forse per questo, per proteggerlo, padre Brendan gli
dimostra affetto. O forse ha altre mire.
Girato e scritto da John Patrick Shanley, il film è ambientato nel 1964.
Da un anno è stato ucciso John Kennedy, e da due è iniziato il Concilio
Vaticano II. Padre Brendan è un prete conciliare, mentre Sorella
Aloysius è rigidamente conservatrice. Lo è anche per l'uso della penna
biro al posto della stilografica. Con la biro – dice alla giovane e
dolce sorella James (Amy Adams) – i ragazzi premono sul foglio, e
scrivono male. Di questo passo, commenta, che fine farà la calligrafia?
La preside della scuola di St. Nicholas è convinta che il mondo debba
restare quel che è, in conformità con un Bene immutabile. A questa
certezza dedica tutta se stessa, senza alcuna simpatia per quel che è
umano, e dunque imperfetto. Poco importa se questo la induce ad
allontanarsi per un tratto di strada da Dio (cioè, a far del male).
Quando l'intenzione è retta,spiega a sorella James, lo si fa per suo
conto (noi diremmo: nel ruolo di adiutores Dei).
Nient'affatto rigido è invece il suo antagonista. Se lei nasconde lo
zucchero nel periodo di quaresima, e poi fatica a rimetterlo in tavola,
padre Brendan ne riempie la propria tazza di tè. Sono goloso, le dice. E
in queste parole c'è la convinzione che la vita sia più importante di
qualunque severità moralistica e punitiva. Non ha certezze, il prete, o
almeno non le ostenta. Al contrario, ritiene che perderle, le certezze,
apra alla relazione con gli altri. Proprio questo – così dice all'inizio
del film, in un'omelia che subito mette in sospetto sorella Aloysius –,
è accaduto a tutti noi, subito dopo l'assassinio di Kennedy.
Disorientati, ci siamo riversati per le strade, e là ci siamo ritrovati
gli uni accanto agli altri. Alla fine il dubbio, anche quello relativo
alla fede, aiuta a ritrovarsi, appunto. Quanto all'allontanamento da Dio
per conto di Dio, certo padre Brendan lo considererebbe non un
ritrovarsi, ma un perdersi.
È un film pieno di intelligenza, questo di Shanley. Splendidamente
scritto e splendidamente recitato, si dà allo spettatore non come
l'enunciazione di una verità, per quanto densa di sfumature, ma come un
percorso attraverso psicologie, sensibilità, contraddizioni. Fra la
consapevole apertura di padre Brendan e l'altrettanto consapevole
chiusura di sorella Aloysius,c'è l'entusiasmo immediato di Sorella
James, indifesa quanto basta per farsi influenzare dalla superiora, ma
anche pronta a credere con generosità umana alle giustificazioni del
prete. A lei, certo non a caso, nei titoli di coda è dedicato Il
dubbio. E poi c'è la madre di Donald, più attenta al futuro di suo
figlio che alle accuse della suora. Sa bene che per lui la scuola di St.
Patrick è la sola opportunità di sfuggire a un destino di emarginazione,
oltre che alla violenza del padre. Quanto al rapporto con il prete –
dice piangendo alla preside, esterrefatta – «occorre tener conto della
sua natura ». Insomma, è la sua sessualità che lo porta ad accettarne le
attenzioni. Padre Brendan, del resto, è il solo che lo abbia mai
aiutato. Come sorella Aloysius, anche in platea si rimane esterrefatti.
Dice cose terribili, la madre di Donald. E piange, mentre le dice. Le
sue lacrime non meritano forse che in noi nasca un dubbio? La vita è più
complessa, e più tragica, di ogni nostra certezza. A proposito delle
nostre certezze, verso la fine del film c'è anche quella che padre
Brendan lo sia, colpevole. La pervicacia della suora sembra averlo
costretto a confessare, almeno implicitamente. Ha telefonato a una suora
di un'altra parrocchia, da cui il prete è stato allontanato, e quella ha
confermato. Così sorella Aloysius dice e così noi crediamo sia accaduto.
Al prete non resta che firmare una lettera di dimissioni. E a noi non
resta che dar retta alla sua accusatrice, senz'ombra di dubbio. D'altra
parte, quando tutto s'è compiuto, lei confessa che la telefonata era una
bugia: un modo di servire Dio allontanandosi da Dio. Certo, qualcosa ha
fatto padre Brendan nel suo passato. Ma che cosa ha davvero fatto?
Questa è la domanda, il dubbio più importante del film di Shanley: il
dubbio che ora esplode nel cuore della preside della scuola di St. Paul,
e che per la prima volta vince la sua rigidità. Piange, la coadiutrice
di Dio, e forse inizia a ritrovarsi. |
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Paolo D'Agostini - Da
La Repubblica, 30 gennaio 2009
Consigliarne la visione a un' attrice
(o a un attore)? La mostruosa perfezione di Meryl Streep (non da meno
Philip Seymour Hoffman né Amy Adams, la suorina stretta tra i due
fuochi) incoraggia o frustra chi è della professione o vi aspira? Il
testo del 2004, ambientato nel ' 64 post Conciliare, del commediografo
da Pulitzer e sceneggiatore da Oscar J. P. Shanley - ora allestito a
Roma con la regia di Castellitto, in scena Accorsi e Lucilla Morlacchi -
tratta il sensibilissimo tema della pedofilia tra i preti. Ma (appunto)
all' insegna del dubbio, dello sfuggente moltiplicarsi di sfumature e
punti di vista. Non mente, pur senza prove, l' istinto accusatorio di
Sorella Aloysius? Oppure l' attempata preside è schiava della propria
rigidità conservatrice e non capisce lo stile coinvolgente e complice,
moderno, che il giovane parroco Padre Flynn applica con i ragazzi? E
sotto quale luce va presa la dichiarazione della signora Miller - madre
del ragazzo, unico nero in una scuola e in un quartiere di cattolici
irlandesi e italiani, presunto molestato - sulle "inclinazioni naturali"
del figlio o sul proprio gradimento verso la benevolenza del sacerdote?
Un test di recitazione da manuale, e un ricco contributo a un tema
sociale di primario interesse: certamente non assolutorio ma neanche
violentemente anticlericale alla Almodovar. |
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Alessandra Levantesi - Da
La Stampa, 30 gennaio 2009
Oltre che sullo schermo, il pubblico
italiano in questi giorni può godersi Il dubbio anche in palcoscenico
nell'allestimento di successo di Sergio Castellitto, protagonisti
Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi.
Una felice coincidenza, utile a verificare come recitazione e direzione
possano far cadere in modo diverso l'accento sul «dubbio» del titolo:
parola che nel testo teatrale vincitore del Pulitzer di John Patrick
Shanley assume una complessa risonanza. 1964, una scuola cattolica del
Bronx gestita con rigore vittoriano da sorella Meryl Streep, convintasi
che il prete progressista Philip Seymour Hoffman possa aver abusato di
un dodicenne, unico allievo di colore. Ma lungi dal riguardare solo
l'eventuale colpevolezza del sacerdote, il discorso va ben oltre,
coinvolgendo un mondo in cui, dopo l'assassinio Kennedy e il Vietnam, il
tormentoso dubbio come categoria dello spirito sta spazzando via ogni
solida certezza.
Ben adattato dallo stesso Shanley che firma anche la regia, con gli
straordinari Streep e Hoffman affiancati dall'ottima suorina Amy Adams e
la superba madre nera Viola Davis (tutti candidati all'Oscar), il film è
un quartetto di voci giocato sul registro dell'interiorità. |
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Boris Sollazzo - Da
Liberazione, 30 gennaio 2009
Chiesa conservatrice, innovativa,
educativa, sociale, inquisitoria, pedofila. Con questi presupposti il
film di John Patrick Shanley doveva essere una bomba che deflagrava
nelle nostre false coscienze, nella nostra storia recente, non solo
spirituale. O almeno poteva provarci. E invece quella che era una
bellissima pièce teatrale- riadattata in Italia per la regia di Sergio
Castellitto e la prova maiuscola in palcoscenico di Stefano Accorsi- è
diventata su grande schermo un'opera didascalica, più rigida che
rigorosa, un racconto per immagini divise pedissequamente per capitoli.
La regia è ingenua e scolastica, tutta al servizio di attori "costretti"
a scene chiave (stuprate dal doppiaggio, peraltro), in cui Meryl Streep
e Philip Seymour Hoffman danno quello che ci si aspetta da loro- ma
niente di più-, Viola Davis regala gli unici minuti di vibrante empatia,
dolore e analisi storico-sociale, Amy Adams si fa sintesi virtuosa e
candida delle diverse anime del film, con una sensibilità, una dolcezza
e una sofferenza che lo nobilitano. Suor Aloysius e Padre Flynn (Streep
e Hoffman, appunto) sono le due diverse anime di una Chiesa in crisi,
lacerata da spinte in avanti e ritorni al passato: la prima è una severa
Inquisizione, arcigna custode di centinaia di regole e divieti, il
secondo è un fascinoso innovatore, vicino ai fedeli, forse troppo.
Un presunto abuso su un bambino nero della scuola della loro istituzione
ecclesiastica ed educativa di Brooklyn, apre la voragine: lei lo accusa,
lui accusa il colpo. A teatro questo diveniva simbolo in scala di un
mondo in bilico che aveva appena vissuto la scomparsa della Speranza,
con John Fitzgerald Kennedy e Giovanni XXIII, ma al contempo non ne
vedeva esaurita la fiamma. Siamo nel 1964, clero e i credenti sono
squassati dal Concilio Vaticano II e quella parrocchia della periferia
americana sembra portare su di sé il peso di questa rivoluzione sospesa.
L'ombra della persecuzione o della pedofilia, il nuovo vissuto come
insicura tentazione e il vecchio come rifugio severo ma inattaccabile,
carnefice o capro espiatorio, Padre Flynn e la sua vicenda, sul
palcoscenico, ci lacerano col dubbio che suscitano.
Quale ingiustizia si sta perpetrando, l'abuso sessuale o di Potere? Sul
grande schermo, pur essendo il regista lo stesso, sembra però non
esserci mai incertezza, tutto è più rassicurante e politicamente
corretto, i sospetti sono a senso unico, Meryl Streep è giudice
solitaria di tutto e di tutti, persino di sé stessa nella posticcia
scena finale, troppo tardiva e costruita. Sex and the Church,
"recensirebbe" sornione il duca bianco David Bowie. |
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Fabio Ferzetti - Da
Il Messaggero, 30 gennaio 2009
Padre Flynn (grande Philip Seymour
Hoffman) è un prete moderno. Nei sermoni cita l'assassinio di John
Kennedy, avvenuto appena un anno prima, per spiegare ai suoi fedeli che
perfino la disperazione può legarci al nostro prossimo. Con i suoi
allievi è altrettanto aperto. Se una ragazza viene a dirgli che è
innamorata di un compagno, la esorta a dichiararsi con un sorriso. Se un
ragazzo ha bisogno del suo conforto, non è certo lui a negarglielo.
Soprattutto se è il primo allievo di colore del severo Istituto St.
Nicholas, una parrocchia del Bronx che nel 1964 accoglie soprattutto
lavoratori di origine irlandese.
Suor Aloysius (immensa Meryl Streep) è di un'altra pasta. Come preside
dell'Istituto, controlla tutto e tutti con rigore vicino alla voluttà. I
pasti delle consorelle, la loro salute malfernma, le penne degli allievi
(«odio le biro»). E naturalmente i loro rapporti con gli insegnanti.
Così, quando la candida suor James (toccante Amy Adams), le confida di
aver notato qualcosa di strano fra il ragazzo nero e padre Flynn, parte
lancia in resta. Anche se non ha prove, farà di tutto per infangare
padre Flynn. Senza fermarsi nemmeno quando la madre del ragazzo (Viola
Davis, giustamente candidata all'Oscar), in una lunga scena ammirevole
per tensione e asciuttezza, le svelerà i lati in ombra della faccenda.
Attenzione però: tratto dalla sua stessa commedia (ora a teatro con
Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi per la regia di Sergio Castellitto),
quello di John Patrick Shanley non è un film storico, tantomeno un
pamphlet sugli scandali dei preti pedofili. Malgrado l'esattezza del
contesto storico, l'autore americano batte infatti su uno dei temi più
cinematografici che vi siano Il dubbio appunto immergendoci grazie a un
cast superlativo e a una regia classica quanto sorvegliata, in quella
zona grigia dove la convinzione sfuma nel pregiudizio e la lotta per il
potere si maschera da difesa delle regole, o della virtù. Non sapremo
mai se padre Flynn è colpevole o no, ma non importa. L'Inquisizione è
sempre fra noi, ha solo cambiato volto (ed è incrinata a sua volta dal
dubbio, come mostra il potente epilogo). A noi riconoscerla. Anche
grazie a un film che avvince e costringe a pensare dal primo all'ultimo
minuto. |
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Alberto Castellano - Da
Il Mattino, 31 gennaio 2009
Per il suo secondo film da regista
dopo «Joe contro il vulcano», il drammaturgo newyorkese premio Pulitzer
John Patrick Shanley ha scelto di trasporre la sua pièce teatrale di
successo «Il dubbio». Il dramma - ambientato nel 1964 in una
scuola-parrocchia del Bronx - mette in gioco temi di attualità come la
pedofilia e il contrasto tra le due anime della cultura cattolica,
quella autoritaria e quella progressista. Evitando contrapposizioni
schematiche e manichee, Shanley ha lavorato però sulle zone d'ombra del
rapporto di affetto e di protezione che il battagliero Padre Flynn
stabilisce con alcuni ragazzi e in particolare con Donald, il primo
studente nero dell'istituto, sul dubbio circa la sua perversione, sulla
certezza dell'inflessibile Sorella Aloysius, direttrice dal pugno di
ferro che non esita a mentire per incastrare il prete. Shanley asseconda
con una regia essenziale e misurata l'incisivo meccanismo drammaturgico,
ma naturalmente sono i due protagonisti impegnati in una battaglia
psicologica senza esclusione di colpi ad abbagliare lo spettatore con
una superba recitazione. Meryl Streep, candidata all'Oscar, dopo la
stilista di «Il diavolo veste Prada» si cala con il solito magnetismo in
un altro personaggio negativo ma ricco di sfumature, mentre Philip
Seymour Hoffman nel ruolo di Padre Flynn conferma di essere una delle
migliori espressioni contemporanee del metodo Actor's Studio. |
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Giulia D'Agnolo Vallan - Da
Il Manifesto, 30 gennaio 2009
Con un amico a Welles (Touch of Evil)
e il miraggio di Hitchcock, ma senza riuscire a scrollarsi di dosso il
mood asfittico/grandioso del «cinema di qualità» d'ispirazione
letteraria ormai classic di ogni produzione Scott Rudin, il drammaturgo
newyorkese John Patrick Shanley porta sui grandi schermi la celeberrima
pièce teatrale con cui, nel 2005 (e sulla scia degli scandali sessuali
sorti all'interno della chiesa cattolica) vinse parecchi premi tra cui
il Pulitzer. Ambientato nel Bronx dell sua gioventù (l'anno è il 1964),
Il dubbio è un nerissimo quadro di interni religiosi e un duello
all'ultimo sangue tra suora Aloysious Beauvier, preside di una rigida
scuola cattolica del Bronx e il carismatico sacerdote Padre Flynn, che
lei sospetta di attenzioni poco lecite nei confronti del primo studente
afroamericano dell'istituto.
Ma il film è un duello ancor più feroce tra l'interpretazione puro
horror, al limite del camp, di Meryl Streep e il naturalismo sofferente
di Philip Seymour Hoffmann, nel ruolo del prete progressista
perseguitato dalla diabolica «sorella». Tra i due - entrambi nominati
all'Oscar - è Streep (sotto una cuffietta nera che fa paura come il
cappellaccio di Freddie Kruger e con la bocca che pende tutta da un lato
in una rugosa smorfia sprezzante) quella che meglio ha letto l'unico
modo (cioè sopra le righe - e sprofondando in un pece infernale la sua
luminosa apparizione in Mamma mia) di elevare il film dall'ovvio.
Shanley è meno interessato ai peccati della chiesa cattolica che ai
pericoli che si nascondo dietro agli assoluti della certezza morale, ma
la scelta dello sfondo religioso rende tutto più prevedibile e un po'
opportunistico.
Ai lati del ring dove combattono due pesi massimi del Metodo Streep e
Hoffman (e in lizza per la statuette pure loro) siedono dignitosamente
Amy Adams, nei panni della giovane suora ingenua da cui parte il primo
sospetto, e Viola Davis, in quelli della mamma del ragazzino.
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